Tornando alle opere pittoriche, si incontrano immagini degli evangelisti in altri edifici sorti o sviluppatisi nel XIII-XIV secolo, in particolare in due chiese del territorio solcato dall'ultimo tratto dell'Aterno, ovvero san Francesco di Castelvecchio Subequo e san Michele Arcangelo di Vittorito entrambe in provincia de L'Aquila.
Sebbene di notevole diversità architettonica e storica, le chiese contengono raffigurazioni evangeliche che per due motivi possono essere accomunate: la stesura eseguita sulle volte della cappella di S. Francesco nella prima, e del ciborio nella seconda, isolano l'immagine a protagonista del rispettivo spazio; l'attributo del cartiglio per ciascun evangelista con l'iscrizione dell'incipit evangelico correlato.
L'iconografia di Castelvecchio (XIV secolo), inserita nella decorazione della cappella di S. Francesco contenente affreschi di scuola giottesca, riproduce direttamente nei clipei quadrilobati la simbologia animale; l'immagine si staglia su un fondo scuro che enfatizza il colore e la stessa figura, mentre, nel caso caratteristico degli animali, la posa trasmette un atteggiamento "umanizzato".
La disposizione nelle vele della volta a crociera, non rispetta in questo caso l'eventuale opposizione tra le coppie, in quanto l'aquila di Giovanni è adiacente al toro di Luca e non opposto, così come avviene per i restanti simboli.
Analoga è la situazione nella volta del ciborio di S. Michele arcangelo (XV secolo) a Vittorito, dove l'immagine degli evangelisti viene restituita in forma umana, con la presenza, comunque, dei simboli in un angolo dello spazio della vela ospitante la stesura pittorica. Anche qui sulla volta a crociera ogivale, le immagini sono protagoniste del proprio spazio, anche se inserite in un complesso decorativo che occupa tutto lo spazio disponibile, comprese le costolonature della volta, e recano il cartiglio con l'iscrizione dell'incipit.
In questo caso si ha la testimonianza iconografica della necessità emergente di "aggiornamenti" e riproposizioni delle originarie motivazioni, per cui già nelle immagini trecentesche di S. Francesco, ma maggiormente in quelle successive di Vittorito, la lettura prettamente simbolica ha ceduto il passo ad una interpretazione più mediata; in quest'ultima infatti l'adozione dell'immagine umana, riflette il rinnovamento sviluppato dall'umanesimo del '400, dal quale rinasce definitivamente l'interesse verso l'uomo che, con le sue potenzialità e responsabilità, tende ad una maggiore emancipazione dalle visione religiosa e "assoluta" del mondo.
In questa prospettiva si inseriscono gli affreschi quattrocenteschi del coro della cattedrale di S. Maria assunta di Atri (Te), attribuiti ad Andrea De Litio, e quelli, di datazione più controversa ma a tutt'ora collocati nella prima metà del '300 (39), campiti nella cripta di S. Maria in Platea di Campli (Te).
In entrambi i casi la rappresentazione degli evangelisti in forma umana, sancisce il processo di rinnovamento figurativo in atto, per cui, nel secondo caso testimonia la valenza di epoca di transizione del secolo XIV, guidata dall'influenza artistica che ebbe nella scuola giottesca il principale punto di riferimento, mentre nel primo caso visualizza l'affermazione di tale scelta iconografica nel corso del '400.
Negli affreschi di Atri, e più precisamente sulla volta del coro della cattedrale, si assiste non più ad una semplice rappresentazione iconica delle figure evangeliche, con l'impostazione sostanzialmente frontale e reggenti un cartiglio o un libro, ma alla stesura di scene in cui i quattro protagonisti lavorano alle rispettive "novelle" coadiuvati dai quattro padri della chiesa.
Ogni scena occupa una vela della volta a crociera costolonata; l'evangelista e il rispettivo Dottore della Chiesa seduti e affrontati, ognuno con il proprio scrittoio, sono intenti alle proprie funzioni e suggeriscono il legame diretto stabilitosi fra loro, tra coloro cioè che hanno costruito le basi della fede, i primi, e le fondamenta della Chiesa, i secondi.
Tale iconografia viene sviluppata soprattutto nei secoli XV e XVI, in seguito alla riscoperta della letteratura patristica e nel clima intriso di conflitti e contraddizioni in seno all'ambiente e alla cultura cattolica europea: a seguito del cosiddetto "grande scisma d'Occidente" (1378-1417), i vari episodi di insofferenza riguardo l'autorità ecclesiastica e papale succedutisi in Europa (le posizioni intraprese da G. Wyclif 1330-1384 in Inghilterra, o in Boemia da G. Hus 1369-1415), la lotta tra il potere pontificio e l'autorità conciliare innescata dal Concilio di Costanza, e infine, la crisi profonda e definitiva provocata dal luteranesimo nel secolo successivo, la dottrina cattolica subì graduali mutamenti nelle modalità di trasmissione dei suoi messaggi.
Divenne fondamentale precisare e rafforzare i canoni che strutturano l'ecclesia
storica, con attestazioni iconografiche che non lasciano dubbi circa il ruolo
del proprio magistero.
In opposizione alle tesi centrifughe che reclamano una
maggiore indipendenza di coscienza e di interpretazione delle sacre scritture da
parte del fedele, la Chiesa risponde con le figure dei propri Padri storici, i
quali immortalati nella "convivenza" con gli evangelisti riaffermano con forza
che non può esistere una fede cristiana senza la mediazione operata da essi, e
quindi dalla Chiesa stessa.